Author: Gianni Maran
“Semo una carne sola” Bruxelles
Il 30 novembre 2017 alle ore 18.30, nella sala espositiva dell’ Ufficio di collegamento della Presidenza della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia di Bruxelles,in rue du Commerce 49, s’inaugura la mostra dell’artista Gianni Maran dal titolo “Semo una carne sola“ dedicata al grande poeta gradese Biagio Marin.
L’esposizione vuole essere un percorso artistico attraverso la poesia mariniana tratta dalla raccolta “L’isola” (The Island) edita da Del Bianco nel 1981 con la quale Biagio Marin fu proposto al Nobel per la letteratura l’anno successivo.
Gianni Maran con questa esposizione, “scrive” pagine di un diario dove le positività dell’esistenza mettono in sordina le inquietudini della contemporaneità, pur vissute a pieno con una sensibilità pronta ad ascoltare i battiti più segreti della storia attuale. Il tutto accade anche perché l’artista ha costantemente la necessità di trarre linfa vivificatrice dall’ atmosfera di Grado, così come il pensiero di Biagio Marin gli ha indicato in molti suoi versi.
Maran da sempre estimatore del poeta e suo concittadino, con questa mostra realizza un percorso, dove la poesia si fonde con le sue opere, ma non vuole essere un percorso illustrativo per accompagnare la poesia di Marin, ma bensì è una rispettosa dedica a colui il quale più di tutti in ha influenzato il suo
percorso artistico.
La mostra è organizzata dalla presidenza del consiglio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e si avvale del patrocinio del Comune di Grado e del Centro Studi Biagio Marin l’esposizione visto il suo primo vernissage il 16 marzo a Roma, nella sede di rappresentanza della Regione Autonoma Friuli
Venezia Giulia, a Palazzo Ferrajoli in Piazza Colonna.
Roma, Palazzo Frrrajoli “SEMO UNA CARNE SOLA” per Biagio Marin
Il cielo è azzurro; di quegli azzurri che stanno a significare che qualcosa di magico sta per accadere. Sdraiato sul prato, col viso in su, estasiato ad ammirare quel cielo, ti rendi conto della sua immensità, che vorresti “bere” tutta in un unico sorso, tanto da rimanere senza fiato… Quel cielo bambino è di un’estate degli anni ’70. Nella mia mente i pensieri girano come una giostra che non riesci, non puoi e non vuoi fermare; corri, salti, ti senti libero. La libertà ti serve per continuare a essere un ragazzino che sta diventando grande e che non ha, ancora, la consapevolezza della vita. Sembra un pomeriggio come tanti, il mare, gli amici e i giochi. Ripongo i pastelli nel mio inseparabile astuccio, riprendo la strada di casa che dista pochi passi, sessantasei gradini da scalare per impossessarmi della meritata merenda. Entro in casa e vedo sul tavolo un libro molto grande con una copertina cartonata e, in sovraccoperta, un’immagine in bianco e nero: lo skyline dell’isola del santuario di Barbana che ben s’integra con il titolo: “El picolo nio” di Biagio Marin. Comincio immediatamente, a sfogliarlo con curiosità, per me è la prima volta che leggo poesie nel mio dialetto: è una folgorazione! Mi dimentico completamente della merenda. Dopo qualche ora mia madre, rientrando, mi trova stranamente tranquillo con il libro in mano e mi raccomanda di non rovinarlo, di averne cura poiché l’ha appena acquistato, la rassicuro senza staccare gli occhi dal libro. Quel giorno, dopo avere letto più volte le poesie, mi rendo conto che Biagio Marin è un grande poeta, e che si può poetare e raccontare la bellezza utilizzando l’antico dialetto paleoveneto della mia isola. La mia curiosità mi porta ad informarmi sul Poeta, scopro che Biagio Marin è un grande intellettuale. Il tempo scorre. Mi capita, talvolta, di osservare Marin dalla finestra della mia camera, agli squeri (piccoli cantieri navali) dove sono nato, mentre passeggia da solo con occhi bassi e mani unite dietro la schiena, in visita agli amici ” maestri d’ascia”, che lo accolgono sempre con la dovuta deferenza, anche se, confidenzialmente, a Lui si rivolgono chiamandolo “Biaseto”. Finalmente, alla fine degli anni settanta, da ventenne, riesco ad incontrarLo. Ricordo quel giorno come fosse oggi: mi avvio emozionatissimo verso casa Sua, con la consapevolezza di addentrarmi nel sacro luogo della Sua creazione poetica. Biagio, quasi novantenne, mi attende in piedi accanto alla Sua poltrona. Dopo le presentazioni, il Professore mi chiede delle mie origini gradesi. Inizia così, semplicemente, il nostro primo colloquio informale che si trasforma, poi, in una meravigliosa lezione di letteratura e filosofia, Il Professore, protagonista di una storia davvero unica, incanta con i Suoi monologhi, declamati con voce decisa, appassionata, a tratti, commossa.
“Semo una carne sola” è il sogno che si avvera, un sussurrato e rispettoso tributo alla persona che più di tutte ha influenzato la mia vita artistica. Ora, finalmente, con infinita gratitudine posso dire: “Grassie! Biaseto”.
Gianni Maran
Messaggero Veneto sabato 14 novembre “Cultura”
Un calcio al pallone e la Callas che sviene
I ricordi del pittore Gianni Maran di quando PPP venne a Grado per girare la sua “Medea”
di Anna Dazzan
14 novembre 2015
Essere bambino a Grado, negli anni Sessanta, significava trovare il massimo godimento in un fazzoletto polveroso di terra in riva al mare. E, ovviamente, in un pallone. Di quelli duri, però, con le cuciture in rilevo sul cuoio marrone che fanno un male cane a colpirli col dorso del piede nudo. Ma a dieci anni, in riva al mare, giochi così, perché niente ha più rilevanza che veder rotolare quel pallone duro in fondo alla rete dei tuoi avversari, costi quel che costi. Ma se poi capita che, un giorno, quella sfera cenciosa finisce tra i piedi di un adulto che non resiste alla tentazione di palleggiare e tirare in porta, finendo poi a giocare con te, la tua prospettiva di bambino può anche cambiare. Comincia così la piccola e favolosa storia dell’incontro di un gruppo di ragazzini gradesi con Pier Paolo Pasolini, nell’estate del 1969, quando il regista si trovava sull’isola d’oro per girare il suo Medea. «Ce ne stavamo in questo piccolo e polveroso spazio accanto agli squeri, che per noi era come il Maracanã, totalmente ai margini del turismo». Gianni Maran, il pittore dei pesci reduce da una serie di mostre di successo da Friuli Doc al palazzo della regione a Trieste, era uno di quei ragazzini nati sull’isola, che al tempo non aveva ben presente chi fosse questo Pasolini. Ma un giorno di quella estate del 1969 le strade intorno al porto si riempiono di macchine e anche Maran, che al tempo aveva solo 10 anni, si rende conto che qualcosa di straordinario sta succedendo. «Abbiamo visto questa piccola folla, le macchine e poi diversi operai intenti ad aggiungere un rostro a un bragozzo.. era una cosa insolita per Grado, ma noi continuammo a giocare, finché il pallone rotolò ai piedi di quest’uomo magro che catalizzava le attenzioni di tutti gli altri. Lui lo prese, cominciò a palleggiare e non trattenne l’istinto di calciarlo in porta». Sì, la palla entrò e i bambini fecero quel che si fa quando si trova qualcuno molto più bravo a giocare, lo si invita sul campo. «Organizzò al volo una partitella con alcuni dei tecnici che erano sul set – racconta Maran, con l’aria di chi ancora assapora quel momento così lontano nel tempo – e per noi fu un momento straordinario, anche se non capivamo bene il perché». Pasolini è un nome noto, ma se hai dieci anni sogni il tuo pallone, non di conoscere un intellettuale che segnerà la storia del tuo Paese. Eppure per quel gruppetto di bimbi gradesi, da quel giorno, qualcosa cambiò. «Il fatto che nel nostro rarefatto angolo di paradiso succedesse qualcosa di così eccezionale come lo sono le riprese di un film, ci attirò tantissimo e così circondammo il nostro amico Eros, perché ci confidò che suo padre era stato reclutato per fare da comparsa nel film». Maran sorride, si ricorda l’eccitazione di quelle fine giornate quando i ragazzi si radunavano ad ascoltare i racconti dell’amico, riferiti dal padre, grazie ai quali prendeva lentamente forma l’immagine del mito di Pasolini, attraverso la storia della nascita di Medea. «Una delle cose che ci affascinò di più era proprio il ruolo di Giovanni detto “bimbo”, il padre di Eros, che oltre a fare la comparsa era anche l’addetto a far muovere il Minotauro. Per noi che crescevamo sfogliando Conoscere, l’enciclopedia comprata a rate dai nostri genitori, sapere che a Grado si stava ricreando quel mondo mitologico per noi era pazzesco». Già, Pasolini -che definì l’isola d’oro il suo “luogo dell’anima”- riuscì a portare in questo remoto angolo di Friuli Venezia Giulia, un mondo intero. Nel cast del film, infatti, spunta splendente il nome di Maria Callas, alla quale è legato uno dei ricordi di quei giorni più vivi nella memoria di Gianni Maran. «Un giorno Eros ci raccontò che suo padre soccorse la Callas che gli svenne addosso, e quando riaprì gli occhi lo ringraziò personalmente. Giovanni ci disse “avevo la diva tra le braccia” e per noi fu come un sogno». Un sogno che portava la firma di Pasolini, che con Grado aveva anche un legame personale, costruito con il poeta Biagio Marin. “Marin deve la sua notorietà proprio a Pasolini -ammette Maran- che curò per i torchi di Vanni Scheiwiller un’antologia delle sue liriche, Solitàe, convincendo Scheiwiller ad accogliere Marin tra i suoi autori.
Tra loro nacque un’amicizia, che portò poi Marin a scrivere le 13 liriche intitolate El critoleo del corpo fracassao (lo scricchiolio del corpo fracassato),alla memoria dello stesso Pier Paolo Pasolini e che fece da ponte per la mia passione pasoliniana”.
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PESCA MIRACOLOSA A SAN DANIELE DEL FRIULI
Sabato 21 novembre alle ore 18 a San Daniele del Friuli nella sede della Friul Trota in Via Aonedis, inaugurazione della mostra di Gianni Maran “Pesca Miracolosa”, l’intervento critico è affidato allo scrittore Paolo Maurensig. La serata prosegue con un ricordo a Pier Paolo Pasolini con la lettura delle poesie di Biagio Marin dal “EL CRITOLEO DEL CORPO FRACASSAO” (litanie a la memoria de Pier Paolo Pasolini) Premio Internazionale Etna Taormina 1976, voci recitanti: Eros Gregori e Gianni Maran, Foto di nico Gaddi, con la partecipazione de Vose de l’Isola, a cura di Gianni Maran.